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«Vorrei che mio padre... Ma a che cosa serve?» «Teniamo il fuoco acceso.» La danza era finita e i cacciatori tornavano ai rifugi. «I grandi sanno cavarsela,» disse Piggy. «Non hanno paura del buio. Si trove- rebbero insieme a prendere il tè e a discutere, e tutto andrebbe a posto...» «Non darebbero fuoco all'isola. E non perderebbero...» «Costruirebbero una nave...» In piedi nel buio i tre ragazzi si sforzavano inutilmente di esprimere la maestà della vita degli adulti. «Non litigherebbero...» «Né mi romperebbero gli occhiali...» «Né parlerebbero di una bestia...» «Ah se potessero almeno mandarci un messaggio,» gridò Ralph disperatamente. «Se potessero mandarci almeno qualche cosa di loro... un segnale o qualche cosa del genere...» Nel buio si levò un gemito sottile che li fece rabbrividire e li spinse a stringersi l'un l'altro. Poi il gemito, remoto e soprannaturale, cambiò tono e divenne una serie incomprensibile di parole biascicate. Percival Wemys Madison, abitante alla Casa del Vicario, ad Harcourt Sant'Antonio, disteso lì tra l'erba folta, si trovava in condizioni tali che l'incantesimo del suo indirizzo non poteva dargli nessun aiuto. Capitolo 6 UNA BESTIA DAL CIELO Non c'era altra luce che quella delle stelle. Quand'ebbero capito che cos'era che faceva quel rumore terribile, e Percival stette zitto di nuovo, Ralph e Simone lo tira- rono su alla meglio e lo portarono in un rifugio. Piggy nonostante tutte le sue parole coraggiose si tenne ben stretto a loro, e i tre ragazzi andarono insieme in un altro ri- fugio. Si stesero sulle foglie secche che facevano un gran rumore al minimo movimen- to, guardando le stelle che occhieggiavano attraverso l'apertura verso la laguna. Ogni tanto veniva il pianto di uno dei piccoli da un altro rifugio, e si sentì anche uno dei ragazzi più grandi parlare nel buio. Poi si addormentarono anche loro. Un'unghia di luna si alzò sull'orizzonte, appena grande abbastanza per fare una striscia di luce lì dove toccava il mare; ma c'erano altre luci nel cielo, che si muove- vano veloci, ammiccavano o si spegnevano, benché della battaglia combattuta a dieci miglia d'altezza non arrivasse nemmeno il più piccolo rumore. Ma un segnale venne giù dal mondo degli adulti, benché in quel momento non ci fosse nessun bambino sveglio che lo potesse comprendere. Ci fu improvvisamente un lampo e un'esplosio- ne, poi una spirale di luce nel cielo, poi di nuovo il buio e le stelle. C'era una mac- chiolina sopra l'isola, una figura che cascava giù velocemente, appesa a un paracadu- te, una figura che lasciava dondolare le membra. I venti mutevoli delle varie altezze portavano la figura dove volevano. Ma a tre miglia di altezza, il vento divenne co- stante e la portò giù per il cielo in una curva discendente, poi in una gran diagonale attraverso la scogliera e la laguna, verso la montagna. La figura cadde tra i fiori blu del pendìo e si raggomitolò tutta, ma anche a quell'altezza c'era un bel venticello, e il paracadute afflosciato si gonfiò di nuovo e riprese a tirare. Così la figura, con i piedi che strascicavano, risalì il pendìo della montagna. Un metro dopo l'altro, un soffio dopo l'altro, la brezza trascinò la figura tra i fiori blu, sopra le lastre di pietra e i sassi rossi, finché si accucciò tra le rocce sparse in cima alla montagna. A tratti la brezza soffiava ancora, e a furia di strattoni e di allentamenti riuscì ad avvolgere e intricare le corde del paracadute in maniera bizzarra, così da far restare la figura seduta con la testa tra le gambe: e sulla testa c'era ancora l'elmetto. Quando la brezza soffiava, le corde si tendevano, e l'effetto era che il busto si raddrizzava, la testa si alzava, e la fi- gura sembrava intenta a esplorare la montagna. Poi, ogni volta che il vento cadeva, le corde si allentavano, e la figura si chinava di nuovo in avanti, sprofondando il capo tra le ginocchia. Così, come le stelle si muovevano sul cielo, la figura seduta in cima alla montagna si chinava e si tirava su e poi si chinava di nuovo. Nel buio del primo mattino venivano dei rumori da una roccia un poco più in giù. Da un mucchio di sterpi e di foglie morte vennero fuori due ragazzi, due ombre oscure che si parlavano con voce di sonno. Erano i due gemelli, di servizio al fuoco. In teoria uno avrebbe dovuto dormire e l'altro star sveglio: ma i due non riuscivano mai a far nulla di buono se dovevano agi- re indipendentemente, e siccome stare svegli tutta la notte era impossibile, si erano addormentati tutti e due. Ora si avvicinarono alla macchia scura dei resti del falò, sbadigliando, fregandosi gli occhi, ma camminando sicuri perché conoscevano il ter- reno. Giunti lì, cessarono di sbadigliare, indietro a prendere sterpi e foglie. L'altro s'inginocchiò. «Credo che sia spento.» Armeggiò con gli stecchi che gli venivano porti. «No» Si stese al suolo, avvicinò le labbra alla macchia nera, e soffiò adagio. Si vide la sua faccia, illuminata di rosso. Smise un momento di soffiare. «Sam, porta un po'...» «... di legna secca.» Eric si piegò e soffiò di nuovo, adagio adagio, finché il rosso si fece vivo. Sam spinse in quel rosso la legna secca, poi un ramo. Lo splendore aumentò e il ramo pre- se fuoco. Sam ammucchiò altri rami. «Non bruciarli tutti,» disse Eric, «ne metti troppi.» «Riscaldiamoci un po'.» «Ma dovremo cercare dell'altra legna.» «Io ho freddo.» «Anch'io.» «E poi, è...» «... buio. Va bene, allora.» Eric tornò ad accucciarsi e guardò Sam che si occupava del fuoco: fece come un tetto di legna secca, e il fuoco divampò senza più pericolo che si spegnesse. «C'è mancato poco.» «Come si sarebbe...» «... arrabbiato!» «Uh!» Per un po' i due gemelli guardarono il fuoco in silenzio. Poi Eric ridacchiò. «Era ben arrabbiato!» «Per il fuoco e...» «... per il maiale.» «Meno male che se l'è presa con Jack invece che con noi.» «Uh! Ti ricordi il professore quando s'arrabbiava, a scuola ?» «Ragazzi, mi-fate-diventar-matto!» Risero col loro riso uguale, poi si ricordarono del buio e di altre cose e si guar- darono attorno a disagio. Le fiamme che si mangiavano quella specie di tetto riavvin- sero i loro occhi. Eric guardava le bestioline del legno che correvano qua e là impaz- zite, incapaci di evitare le fiamme, e pensò al primo fuoco... che avevano fatto un po' più in là, dove la montagna era ripida, e dove ora era completamente buio. Ricordar- sene non gli piaceva, e guardò invece la cima della montagna. Ora faceva caldo, ed era un piacere. Sam si divertì a mettere i rami nel fuoco più stretti che poteva. Eric tese le mani, cercando di scoprire il punto dove il calore di- ventava insopportabile. Guardando oziosamente al di là del fuoco, ridava alle rocce sparse, ora appiattite nell'ombra, il profilo che avevano alla luce del giorno. Proprio là c'era la roccia grande, e là le tre pietre, poi quella roccia spaccata, e c'era un varco, più in là, proprio là... «Sam.» «Eh?» «Niente.» Le fiamme conquistavano i rami, la corteccia si arricciava e cadeva, il legno scoppiettava. Il tetto sprofondò e mandò un largo cerchio di luce tutto in giro sulla cima della montagna. «Sam.» «Eh?» «Sam! Sam!» Sam guardò Eric con irritazione. L'intensità dello sguardo di Eric rendeva terri- bile la direzione in cui egli guardava, perché Sam le voltava la schiena. Strisciò in- torno al fuoco, si accucciò presso Eric e guardò anche lui. Rimasero di sasso, stretti l'uno all'altro, quattro occhi sbarrati e due bocche spalancate. Lontano sotto di loro, gli alberi della foresta mandarono prima un sospiro, poi un rombo fragoroso. Sui loro volti i capelli si agitarono, e le fiamme del fuoco si pie- garono da una parte. A quindici metri da loro si udì il rumore della tela che si tende- va. Nessuno dei due gridò, ma si strinsero ancora più forte e spalancarono ancor più la bocca. Forse per dieci secondi restarono rannicchiati a quel modo, mentre l'ondeg- giare del fuoco mandava fumo e scintille e ondate di luce incostante sulla cima della montagna.
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