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come ciò sia, chi va proferendo e seminando il suo con- siglio mostra di portar openione che il senno a lui avanzi et ad altri manchi. E fermamente sono alcuni che così vagheggiano questa loro saviezza che il non seguire i lo- ro conforti non è altro che un volersi azzuffare con esso loro, e dicono: Bene sta; il consiglio de poveri non è accettato et Il tale vuol fare a suo senno et Il tale non mi ascolta-; come se il richiedere che altri ubidisca il tuo consiglio non sia maggiore arroganza che non è il voler pur seguire il suo proprio. Simil peccato a questo commettono coloro che imprendono a correggere i di- fetti degli uomini et a riprendergli; e d ogni cosa voglio- no dar sentenza finale, e porre a ciascuno la legge in ma- no: La tal cosa non si vuol fare e Voi diceste la tal parola e Stoglietevi dal così fare e dal così dire e l vino che voi beete non vi è sano, anzi vuole esser ver- miglio e Dovreste usare del tal lattovaro e delle cota- li pillole-; e mai non finano di riprendere, né di correg- gere. E lasciamo stare che a talora si affaticano a purgare l altrui campo, che il loro medesimo è tutto pieno di pruni e di ortica; ma egli è troppo gran seccaggine il sen- tirgli. E sì come pochi o niuno è cui soffera l animo di fare la sua vita col medico o col confessore e molto me- no col giudice del maleficio, così non si truova chi si ar- rischi di avere la costoro domestichezza, perciò che cia- scuno ama la libertà, della quale essi ci privano, e parci esser col maestro. Per la qual cosa non è dilettevol co- stume lo essere così voglioso di correggere e di ammae- Letteratura italiana Einaudi 33 Giovanni Della Casa - Il Galateo overo De costumi strare altrui; e dèesi lasciare che ciò si faccia da maestri e da padri, da quali pure perciò i figliuoli et i discepoli si scantonano tanto volentieri quanto tu sai che e fan- no! [XIX] Schernire non si dèe mai persona, quantun- que inimica, perché maggior segno di dispregio pare che si faccia schernendo che ingiuriando, con ciò sia che le ingiurie si fanno o per istizza o per alcuna cupidità, e niuno è che si adiri con cosa (o per cosa) che egli abbia per niente, o che appetisca quello che egli sprezza del tutto: sì che dello ingiuriato si fa alcuna stima e dello schernito niuna o picciolissima. Et è lo scherno un pren- dere la vergogna che noi facciamo altrui a diletto sanza pro alcuno di noi, per la qual cosa si vuole nella usanza astenersi di schernire nessuno: in che male fanno quelli che rimproverano i difetti della persona a coloro che gli hanno, o con parole, come fece messer Forese da Rabat- ta, delle fattezze di maestro Giotto ridendosi, o con atti, come molti usano, contrafacendo gli scilinguati o zoppi o qualche gobbo. Similmente chi si ride d alcuno sfor- mato o malfatto o sparuto o picciolo, o di sciocchezza che altri dica fa la festa e le risa grandi, e chi si diletta di fare arrossire altrui: i quali dispettosi modi sono merita- tamente odiati. Et a questi sono assai somiglianti i bef- fardi, cioè coloro che si dilettano di far beffe e di uccel- lare ciascuno, non per ischerno, né per disprezzo, ma per piacevolezza. E sappi che niuna differenza è da schernire a beffare, se non fosse il proponimento e la in- tentione che l uno ha diversa dall altro, con ciò sia che le beffe si fanno per sollazzo e gli scherni per istratio, co- me che nel comune favellare e nel dettare si prenda assai spesso l un vocabolo per l altro: ma chi schernisce sente contento della vergogna altrui e chi beffa prende dello altrui errore non contento, ma sollazzo, là dove della vergogna di colui medesimo, per aventura, prenderebbe Letteratura italiana Einaudi 34 Giovanni Della Casa - Il Galateo overo De costumi cruccio e dolore. E come che io nella mia fanciullezza poco innanzi procedessi nella grammatica, pur mi voglio ricordare che Mitione, il quale amava cotanto Eschine che egli stesso avea di ciò maraviglia, non di meno pren- dea talora sollazzo di beffarlo, come quando e disse se- co stesso: Io vo fare una beffa a costui-. Sì che quella medesima cosa a quella medesima persona fatta, secon- do la intention di colui che la fa, potrà essere beffa e scherno: e perciò che il nostro proponimento male può esser palese altrui, non è util cosa nella usanza il fare ar- te così dubbiosa e sospettosa. E più tosto si vuol fuggire che cercare di esser tenuto beffardo, perché molte volte interviene in questo, come nel ruzzare o scherzare, che l uno batte per ciancia e l altro riceve la battitura per vil- lania, e di scherzo fanno zuffa; così quegli che è beffato per sollazzo e per dimestichezza si reca talvolta ciò ad onta et a disonore e prendene sdegno, sanza che la beffa è inganno, et a ciascuno naturalmente duole di errare e di essere ingannato. Sì che per più cagioni pare che chi procaccia di esser ben voluto et avuto caro non debba troppo farsi maestro di beffe. Vera cosa è che noi non possiamo in alcun modo menare questa faticosa vita mortale del tutto sanza sollazzo né sanza riposo: e per- ché le beffe ci sono cagione di festa e di riso e, per con- seguente, di ricreatione, amiamo coloro che sono piace- voli e beffardi e sollazzevoli. Per la qual cosa pare che sia da dire in contrario, cioè che pur si convenga nella usanza beffare alle volte e similmente motteggiare. E sanza fallo coloro che sanno beffare per amichevol mo- do e dolce sono più amabili che coloro che no l sanno né possono fare; ma egli è di mestiero avere risguardo in ciò a molte cose; e, con ciò sia che la intention del beffa- tore è di prendere sollazzo dello errore di colui di cui egli fa alcuna stima, bisogna che l errore nel quale colui si fa cadere sia tale che niuna vergogna notabile né alcun grave danno gliene segua: altrimenti mal si potrebbono Letteratura italiana Einaudi 35 Giovanni Della Casa - Il Galateo overo De costumi conoscere le beffe dalle ingiurie. E sono ancora di quelle persone con le quali, per l asprezza loro, in niuna guisa si dèe motteggiare, sì come Biondello poté sapere da messer Filippo Argenti nella loggia de Caviccioli. Me-
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